Storia

La storia del comune di Vicari

Vicari si erge nel cuore del Val di Mazzara, sin dai tempi più remoti, il visitatore che percorreva la Magna Via Panormi Agrigenti e giungeva nelle vicinanze dell’alta rocca di Vicari, il sentimento spontaneo che provava era l’ammirazione per la bellezza e la fierezza dei luoghi.
Il suo nome risale a origini greche e latine, infatti dal greco veniva anticamente chiamata “Boikos”, “Bico”, “Bicara”, mentre dal latino “Biccaris” o “Biccarum”, il quale significato nella lingua italiana è bovaro o vaccaro. Scritti di illustri storici, geografi e letterati testimoniano delle sue origini e della sua importanza che questo piccolo paese ha avuto nel contesto storico e culturale della nostra Sicilia, si evidenzia la rocca di Vicari come uno dei punti strategici dell’isola di rilevante importanza militare.
Le svariate dominazioni che si sono susseguite (si pensi ai Cartaginesi, Greci, Romani, Bizantini, Arabi, Saraceni e per finire Normanni) hanno lasciato un’impronta viva e visibile nel territorio.
Il più antico insediamento sembrerebbe di origine greca. Sia nei dintorni della cittadina che in aperta campagna sono state individuate delle tombe con reperti in ceramica e creta datati, secondo autorevoli fonti, al III secolo a.C.

Nel 1138 un geografo arabo Idrisi fu ospite della corte del Re Normanno Ruggero II a Palermo e dal sovrano stesso fu incaricato di condurre uno studio geografico e così sulla base delle terre da seminare scrisse: “Vicari, alto castello e fortilizio ben chiuso da serrami, ha acque correnti, buone terre lavorative e dista un miglio dal fiume Wadi as Sullah quel che scende verso Termini. Le terre da seminare si estendono senza interruzione”. Questo dimostra quanto esteso fosse il demanio vicarese.


IL CASTELLO E LA CHIESA DI SANTA MARIA DI BOIKOS


Sicuramente l’attrazione principale di Vicari è l’imponente Castello che sovrasta la cittadina e che si può apprezzare da ogni luogo urbano. Posizionato sul monte Sant’Angelo a 760 mt è esposto ai quattro punti cardinali e si può anche ammirare il mare guardando in direzione di Caccamo.
Ai piedi del castello possiamo notare un fossile, appartenente alla famiglia degli ammoniti, comparsi nel Devoniano inferiore ed estinti intorno al limite Cretaceo superiore-Paleocene senza lasciare discendenti noti.

Cercare di stabilire le origini del castello è assai complesso poiché non risulta alcuna data certa: alcuni studiosi lo attribuiscono all’epoca romana supportando a questa tesi sul ritrovamento di alcune tegole e mattoni di tale epoca; altri sostengono che questi materiali sono stati usati da Manfredi di Chiaramonte nella successiva ristrutturazione. Di certo, è documentato da importanti scritti che nel 881 il castello era già esistente.

In questa superficie di 6142 m² sono stati effettuati due importanti scavi archeologici e quelli condotti dal 2015 a 2017 ci hanno permesso di portare alla luce il complesso monumentale in tutto il suo splendore. Ad attirare l’attenzione è la chiesa di Santa Maria del Boikos posta alle pendici. Questa è la seconda chiesetta di culto mariano più antica in Europa, mentre fu la prima in paese e rimase aperta al culto fino al 1862. Frutto di tre diverse sovrapposizioni: una databile alla metà del XI secolo e databile all’età normanna a testimoniare ciò la presenza di arcate e una serie di tombe di personaggi di alto rango.
La navata laterale sinistra si è in parte conservata grazie alla sovrapposizione in età moderna di alcuni edifici che ne hanno inglobato alcune parti. Una seconda risalente alla fine del XII secolo quindi all’età Chiaramontana. Infine una terza destinazione d’uso che racchiuderebbe la chiesa in un’antica navata databile tra la fine del XVII e XVIII secolo. Lo scavo all’interno della navata ha riportato alla luce un’importante tomba databile al periodo normanno. La salma stava in posizione supina con le mani giunte sul bacino, mentre il corredo doveva essere povero essendo rinvenuto solo un frammento di placca in bronzo del suo vestiario. All’interno dell’abside vi erano altre sepolture di individui privi di corredo riconducibili a periodo normanno e sul fondo di una delle fosse si è recuperato un gettone vitreo utilizzato come moneta e databile alla metà del XI secolo circa. Ad oggi non abbiamo la certezza se fossero solo individui appartenenti al clero o il resto della popolazione.

Lo scavo effettuato sotto la pavimentazione centrale ha messo in luce ben 11 sepolture entro fosse terragne affiancate e in parte coperte da 6 esemplari di deposizioni infantili. Molti degli individui conservavano arredo di pregio come monili d’oro recanti incisioni.

Edificato nel periodo arabo e fortificato dal Conte Ruggero, il castello venne utilizzato nel 1077 contro il maniero di Castronovo e divenne famoso durante la battaglia dei Vespri poiché scelto come rifugio da Giovanni di San Remigio, prefetto del Val di Mazzara (noto come il “giustiziere di Val di Mazzara”). Tra i suoi proprietari si possono nominare diversi nomi tra cui i Chiaramonte, i Valguarnera e molti altri fino agli Squillaci, i quali lo cedettero al Barone di Sambuca.
I Bosco-Bonanno, principi di Roccafiorita, furono gli ultimi proprietari che lo mantennero fino alla fine del feudalesimo.
Il muro merlato, scandito da piccole feritoie abbraccia in parte l’intero complesso.

Ma il castello è anche un luogo denso di misteri, la storia ipotizza anche che il castello di vicari fosse collegato con il castello di Caccamo attraverso un sotterraneo sistema di cunicoli e gallerie. Al di là delle supposizioni resta il fatto che la posizione panoramica del castello, esposto ai quattro punti cardinali resta straordinaria.

Sul versante occidentale, vi è un grande torrione che si integra nel circuito murario e sormontato da un enorme terrazzo pavimentato in coccio pesto. Contiene 4 cisterne comunicanti con volta a botte. Nella parte più elevata ci sono le tre torri che chiudono a nord lo spazio fortificato.

Il proverbio “c’è ancura suli a Vicari” nasce dalla particolare esposizione su di una collina facendo sì che il sole tramonti più tardi rispetto ai comuni circostanti e trae origine dai tempi in cui i contadini, non possedendo orologi, usavano il sole che batteva sulla merlatura del castello per orientarsi sull’orario lavorativo.


IL MUSEO


All’interno del museo vi è un ritratto insieme ad un quaderno del Cavaliere Salvatore Butera, medico di professione e appassionato di arte e storia di Vicari, il libro si apre con una lettera inviatagli dall’egregio Antonio Salinas per ringraziare l’autore della donazione fatta al museo regionale Salinas. Il libro prosegue con una descrizione storica dei luoghi di Vicari.
Più avanti troviamo un vaso cinerario risalente al II secolo a.C. il vaso porta una iscrizione con relativa data.

Gli altri reperti sono il frutto delle indagini archeologiche effettuate sul castello, così come lo sono molti corredi che sono stati rinvenuti nella chiesa di Santa Maria di Boikos.
Scavi alle pendici del castello hanno rinvenuto ceramica monocroma di vario tipo provenienti da modeste tombe in sito. Nell’altra sala troviamo un plastico che riproduce fedelmente un defunto di alto rango rinvenuto nella chiesa e riconducibile all’XI secolo d.C. sempre dallo stesso sito provengono altri manufatti appartenenti ai corredi di particolare prestigio tipo monili d’oro e d’argento e una cuffietta metallica dorata non esposti al pubblico.


IL PALAZZO PECORARO MAGGI


Per oltre tre secoli, il palazzo Pecoraro Maggi, a Vicari, ha costituito la residenza della più importante famiglia vicarese, quella dei Pecoraro, che vi dimorò dai primi del Seicento sino alla fine degli anni Settanta del secolo scorso.

La famiglia Pecoraro, probabilmente, è di origine leccese, trasferitasi a Napoli e trapiantata in Sicilia, a Palermo, Carini, Corleone, Prizzi e Vicari. I registri dei battesimi, conservati presso l’archivio parrocchiale, testimoniano la presenza della famiglia a Vicari fin dal 1607. Con ogni probabilità ad iniziare le fortune della famiglia fu Antonino Pecoraro, nato nel 1640.
Durante il Settecento, contemporaneamente all’ascesa economica e sociale nasce per la famiglia Pecoraro il “diritto/dovere” di svolgere un ruolo politico sempre maggiore, tale da permettere alla famiglia il controllo degli organi municipali e soprattutto di avere funzionari pubblici ligi ai valori della famiglia (fino al 1965). Ultimi eredi sono Rodolfo e Luigi Maggi. Dei due soprattutto Luigi, laureato in Giurisprudenza, fu chiamato a gestire la proprietà che aveva aderito al fascismo.

Il palazzo sorge nel sito che anticamente veniva denominato Contrada San Leonardo nelle “Terre Nuove” di Vicari, territorio questo che, tra la seconda metà del Cinquecento e i primi dei Seicento, era considerato in piena espansione abitativa. Originariamente il palazzo, diversamente dalla sua attuale configurazione, occupava una superficie più ampia, comprendente anche tutte le strutture edilizie che oggi si affiancano. A partire dal 1766, soprattutto per gli eventi legati alla formazione dei nuovi nuclei familiari e le controversie divisioni ereditarie, l’immobile è stato progressivamente suddiviso, determinando il frazionamento del palazzo.

Nel 1997 il palazzo, ormai quasi abbandonato, fu acquistato dell’Amministrazione comunale di Vicari e nel 2005 fu finanziato il progetto di restauro.
Il primo piano del palazzo è quello nobiliare e possiede soffitti a volta decorati. Dal maggio del 2022 il palazzo ospita anche una pinacoteca di arte sacra.


LA CUBA ARABA


La Cuba di Ciprigna è il simbolo emblematico della presenza araba a Vicari, questa struttura è stata anticamente costruita in aperta campagna, essa è costituita da una copertura a cupola e da quattro aperture a forma di archi rivolti ai quattro punti cardinali, caratteristica tipica della cultura araba e da questo ne assunse l’altra denominazione.

Il termine Ciprigna o Ciprina è il nome che si attribuiva alla dea classica Venere, infatti la cuba è stata inizialmente dedicata a lei. Il suo utilizzo era finalizzato a cisterna, facendo parte della rete idrica dell’acquedotto arabo.

Pagina aggiornata il 20/03/2024

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